Quando muore un cantante come Pino Daniele, le lacrime non sono solo per la perdita dell’uomo e dell’artista, ma soprattutto per quelle emozioni che le sue canzoni ci hanno regalato: emozioni che fanno parte della nostra storia e che, in un certo senso, muoiono con lui, ma che, per altro verso, proprio grazie a quelle canzoni, conquistano il diritto all’immortalità.
Chi ama Napoli come capita a me, sa che non potrà cantarla con parole più dolci di quelle ascoltate in Napul’é o ricordarla con suggestioni di più struggente nostalgia di quelle evocate dalle note di Terra mia. La sua chitarra e la sue voce irripetibile continueranno a risuonare nel nostro cuore, finché non cesserà di battere, come è accaduto al suo nella notte che precede la visita della befana nell’anno in cui avrebbe dovuto celebrare i suoi 60 anni.
Non credo che la sua morte ci priverà di grandi capolavori, perché il tempo della grazia creativa era ormai passato, come si era attenuato il rapporto con le radici della sua ispirazione, poste nel ventre di Partenope. Nel respiro cosmopolita di Roma e fra le colline della Toscana il suo talento di musicista poteva continuare ad affinarsi cogliendo i frutti di una ritrovata serenità, ma dubito che avrebbe saputo rinnovare quelle potenza e quel genio che solo il legame con una terra di passione e di sofferenza poteva alimentare.
Eppure, sentiamo che è venuto a mancare qualcosa. Perché con lui muore un pezzo di noi. Riascoltare le sue canzoni, riproposte in continuazione nelle ultime ore, ci fa tornare in mente i tempi in il primo incontro con quelle note e quelle parole ci aiutava a capire la vita, una vita tutta ancora da scrivere, ma che già si cullava in quelle armonie fatte di nostalgia e ribellione. Quando è uscito l’album Terra mia, avevo 10 anni. Pino Daniele ne aveva 22. Cantava con energia in nome di una città, di un popolo, di un mondo che con la sua musica poteva cambiare. Oggi ritorno alle sue canzoni – che restano con noi anche oltre la sua morte – ma sono diverse le orecchie che ascoltano. La nostalgia prende il posto della speranza. E la dolcezza del ricordo non mitiga la delusione per un tempo trascorso invano, in una città perduta, abbandonata da tutti e dallo stesso Daniele, ormai emigrato verso altri lidi.
Per questo oggi piangiamo. Non per la morte di un uomo conosciuto solo da lontano, ma per il piccolo mondo che porta con sé. Per i sogni sognati ascoltando la sua musica, che non tornano più. Per quella bellezza consumata dal tempo, che non muore ma sfuma nel ricordo. Per le occasioni perdute, che trasformano la speranza in rimpianto.
Questo ho cercato di spiegare a mio figlio, che mi chiedeva se avevo pianto per la morte di Pino Daniele, ma credo che gli ci vorranno anni per capire, molti anni. E gli auguro di incontrare nella sua vita canzoni così belle per segnare i suoi ricordi.
Per tutto questo, grazie Pino.
Read Full Post »