Il mosaico teologico avviato da Vito Mancuso si arricchisce di un altro importante tassello, quel trattato di “teologia sistematica” – come l’autore stesso lo definisce – che avrebbe dovuto segnare un avanzamento decisivo nello sviluppo del suo pensiero. In realtà, il volume si fa apprezzare soprattutto per la corposa pars destruens che impegna ben più a lungo il lettore e che offre spunti ben più stimolanti rispetto alla ultime pagine, in cui l’attesa della costruzione di una prospettiva alternativa rimane in gran parte delusa.
Dopo avere illustrato con grande efficacia le debolezze e le contraddizioni di “Deus”, il Dio padre-padrone che, a suo giudizio, rappresenta la figura divina che emerge dalle tradizioni religiose monoteiste (Islam in primis, ma anche ebraismo e cristianesimo), Mancuso, infatti, appare un po’ frettoloso ed approssimativo nella presentazione della sua visione “panenteista” che viene proposta come la soluzione per conciliare il conflitto fra trascendenza ed immanenza, da sempre elemento di cruciale criticità nelle grandi scuole teologiche, ortodosse o eretiche che siano.
La sensazione è che poco si aggiunga a quanto scritto negli altri lavori e che il grande problema – la presenza del dolore innocente nella natura creata da un Dio onnipotente e benefico – resti ancora irrisolto, resistendo ai tentativi di mascherare con espedienti retorici una contraddizione che si ostina a rimanere avvolta nel mistero. In questo senso il progetto di Vito Mancuso sembra ancora lontano dal giungere ad un punto di arrivo soddisfacente.
Ma resta un lavoro meritorio, affascinante e ricco di stimoli utili. In particolare, sono molto apprezzabili le pagine in cui l’autore evidenzia le deformazioni indotte nella rappresentazione della figura di “Deus” da parte di una teologia deviata da logiche di potere e da pregiudizi culturali legati alla storia della Chiesa, anche se l’intento polemico lo sforzo di semplificazione finiscono per favorire lo sviluppo di una caricatura del pensiero teologico cattolico che non rende giustizia alla sua complessità e alla sua ricchezza dialettica.
Se è indubbiamente vero che per molti cattolici l’immagine del Dio barbuto e autoritario dipinta da Michelangelo sulla volta della Cappella Sistina possa esprimere in pieno le proprie credenze, non si può, però, ignorare l’impatto che la potenza del Vangelo ha prodotto nel cuore di molti fedeli, dai più riveriti dottori della Chiesa fino all’ultimo distratto frequentatore della Messa di Pasqua. Senza dubbio, come sostiene Mancuso, la Trinità merita di tornare al centro della riflessione teorica e dell’esperienza spirituale, in modo che possa illuminare il cuore della nostra fede dove la relazione è la vera sostanza, ma non si può trascurare che la concezione trinitaria è figlia proprio di quella tradizione teologica che nel libro viene aspramente criticata.
Probabilmente il libro sarebbe stato più efficace se fosse stato pensato come leva per smuovere il gigantesco corpo della Chiesa, spingendolo verso quella direzione che proprio l’illuminato pontificato di Papa Francesco sta rendendo finalmente ortodosso e istituzionale, piuttosto che come clava per distruggere le presunte perversioni di un Magistero cui Mancuso sembra non voler concedere alcuna possibilità di “redenzione” .
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