Stamattina, seguendo distrattamente la rassegna stampa in tv, mentre accompagnavo i miei figli nel percorso ad ostacoli che si interpone fra il risveglio e l’uscita dalla porta in direzione verso la scuola, un titolo ha colpito la mia attenzione. Apriva la pagina de “Il Giornale” e lanciava insieme una notizia agghiacciante e un interrogativo pesante: “Svizzera, morti 22 bambini Ma perché Dio si è distratto?“.
Riportava la notizia del terribile incidente capitato ad una scolaresca durante il trasferimento in autobus per una gita. Ventidue vite ancora tutte da scrivere, stroncate da un banale incidente. Mi è tornata in mente la tragedia di Lorenzo, che ha portato così vicina al cuore della mia quotidianità il dramma della vita. E mi sono tornate in mente le immagini dell’eccidio di Homs in Siria, con i corpi mutilati e martoriati dei bambini vittime degli aguzzini del regime. E i video dei bambini soldato di “Kony 2012” sull’orrore dell’Uganda, dove l’innocenza viene violata due volte, costringendola a vestire i panni del carnefice e quelli della vittima. E i drammatici resoconti di tante immani tragedie: terremoti, tsunami, guerre, epidemie.
Man mano che la memoria si riempiva di tanti tremendi ricordi, la domanda del giornalista riecheggiava più forte nella mia coscienza: perché Dio si è distratto?
Vorrei trovare una risposta definitiva a questa domanda. Vorrei trovare sollievo nella complessa logica delle tante teodicee che ci propone la teologia. Vorrei rassegnarmi alla prospettiva proposta da Vito Mancuso di un Dio impersonale che mette in moto l’universo per poi lasciarlo in balia dei suoi meccanismi non sempre perfetti.
Ma davvero non ci riesco. Voglio credere nella provvidenza di un Dio che ci ama e non resta indifferente alla nostra sofferenza. E allora fermo i miei pensieri impazziti e mi inginocchio ai piedi della Croce, per trovare lì l’unico sollievo possibile, vicino al Dio che non risolve il mistero del dolore ma se ne fa carico nella carne di uomo. La comunione di questa sofferenza che avvolge l’universo non è la risposta definitiva alle mille domande che tormentano la nostra intelligenza, ma è un Mistero più grande in cui si perde la miseria del nostro povero pensiero.
Eppure, dentro di me, non riesco del tutto a tacitare la voce di Ivan Karamazov, che, di fronte alla sofferenza di un bambino, rifiuta di piegarsi alla promessa di un’armonia futura:
E se la sofferenza dei bambini servisse a raggiungere la somma delle sofferenze necessaria all’acquisto della verità, allora io dichiaro in anticipo che la verità tutta non vale un prezzo così alto. Non voglio insomma che la madre abbracci l’aguzzino che ha fatto dilaniare il figlio dai cani! Non deve osare perdonarlo! Che perdoni a nome suo, se vuole, che perdoni l’aguzzino per l’incommensurabile sofferenza inflitta al suo cuore di madre; ma le sofferenze del suo piccino dilaniato ella non ha il diritto di perdonarle, ella non deve osare di perdonare quell’aguzzino per quelle sofferenze, neanche se il bambino stesso gliele avesse perdonate! E se le cose stanno così, se essi non oseranno perdonare, dove va a finire l’armonia? C’è forse un essere in tutto il mondo che potrebbe o avrebbe il diritto di perdonare?
Non voglio l’armonia, è per amore dell’umanità che non la voglio. Preferisco rimanere con le sofferenze non vendicate. Preferisco rimanere con le mie sofferenze non vendicate e nella mia indignazione insoddisfatta, anche se non dovessi avere ragione. Hanno fissato un prezzo troppo alto per l’armonia; non possiamo permetterci di pagare tanto per accedervi. Pertanto mi affretto a restituire il biglietto d’entrata. E se sono un uomo onesto, sono tenuto a farlo al più presto. E lo sto facendo. Non che non accetti Dio, Alëša, gli sto solo restituendo, con la massima deferenza, il suo biglietto».
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