Green Book
Regia di Peter Farrelly. Un film Da vedere 2018 con Viggo Mortensen, Mahershala Ali, Linda Cardellini, Sebastian Maniscalco, P.J. Byrne. USA, 2018, durata 130 minuti.
Storia piacevole e scorrevole, che regala molti sorrisi e qualche utile momento di riflessione. Un’improbabile amicizia fra due personaggi che la vita ha messo in una insolita posizione: da una parte un musicista di colore, colto e sofisticato, pronto a sfidare la rigida cultura razzista della Cotton Belt nell’America del Sud attraverso l’esibizione del suo straordinario talento; dall’altro, un italo-americano dalla battuta pronta e dai modi spicci, rassegnato a mettere da parte i suoi pregiudizi e a lasciare la famiglia per un paio di mesi, per mettersi al servizio di quell’inatteso compagno di viaggio.
Ne nasce un’insolita coppia, che – dopo un’iniziale diffidenza – inizia ad affiatarsi, valorizzando in pieno quell’incontro di mondi diversi, capaci di arricchirsi vicendevolmente e di superare il muro di luoghi comuni che normalmente alimenta le tante forme di razzismo e di snobismo culturale tristemente diffuse non solo nell’America meridionale degli anni ’60. Don Shirley impara a sorridere e rompere gli schemi, fino ad abbandonare il pretenzioso palco di Birmingham, dove avrebbe dovuto esibirsi di fronte al solito pubblico di bianchi sprezzanti, per scatenarsi in un concerto blues improvvisato in un bar di periferia. Tony Lip scopre doti insospettabili di romantico scrittore di lettere, che conquistano il cuore della moglie lontana, e si impegna nella lotta contro la discriminazione, di cui fino a qualche mese era complice ignorante.
La morale è semplice e forse un po’ scontata, ma emerge con naturalezza in un clima leggero e dinamico che non annoia mai. In un momento come questo, in cui anche i più banali principi etici vengono messi in discussione in nome di un egoismo collettivo e nazionalista, anche un po’ di retorica del politically correct può assumere una rilevanza notevole. Speriamo che il successo raccolto al botteghino dal film, recentissimo vincitore del premio Oscar, possa contribuire a riportare un po’ di buon senso nel dibattito politico, ricordando a tutti la ricchezza che nasce dall’integrazione delle diversità.
New York City, 1962. Tony Vallelonga, detto Tony Lip, fa il buttafuori al Copacabana, ma il locale deve chiudere per due mesi a causa dei lavori di ristrutturazione. Tony ha moglie e due figli, e deve trovare il modo di sbarcare il lunario per quei due mesi. L’occasione buona si presenta nella forma del dottor Donald Shirley, un musicista che sta per partire per un tour di concerti con il suo trio attraverso gli Stati del Sud, dall’Iowa al Mississipi. Peccato che Shirley sia afroamericano, in un’epoca in cui la pelle nera non era benvenuta, soprattutto nel Sud degli Stati Uniti. E che Tony, italoamericano cresciuto con l’idea che i neri siano animali, abbia sviluppato verso di loro una buona dose di razzismo.
Green Book è basato sulla storia vera di Shirley, un virtuoso della musica classica, e del suo autista temporaneo nel loro viaggio attraverso il pregiudizio razziale e le reciproche differenze.
Il musicista nero è istruito, parla molte lingue, veste come un damerino e non sopporta volgarità e bassezze, mentre Tony Lip è ignorante, parla con un pesante accento del Bronx costellato di espressioni pseudoitaliane, mangia sempre fast food con le mani e quelle mani le mena volentieri. Ma anche per questo Tony è l’uomo giusto per accompagnare il raffinato musicista di colore e risolvere a modo suo i tanti problemi che l’improbabile duo incontrerà lungo il cammino.
Sarebbe troppo facile etichettare Green Book come un A spasso con Daisy a parti invertite, e non farebbe giustizia ai molti livelli che questo film smaccatamente mainstream nasconde sotto la patina ultracool di un’America anni Sessanta in cui la musica, gli abiti e gli ambienti sono letteralmente da urlo. Ma alla regia c’è Peter Farrelly, metà del duo di fratelli che ha sdoganato il politically incorrect sul grande schermo con film come Tutti pazzi per Mary e Scemo & più scemo, e chi meglio di lui poteva attraversare gli stereotipi etnci e razziali senza negarli, costruendo una storia (scritta insieme a Brian Currie, anche produttore, e a Nick Vallelonga) che è per tre quarti commedia esilarante e per il restante quarto dramma ancora attuale?
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